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14/10/16

La vendemmia sull'isola d'Ischia

grappoli che brillano al sole, l'odore forte della campagna, la frescura di un antico cellaio. Secoli di coltivazione della vite, secoli di fatica nei campi e di buon vino. Ed ogni momento legato a Bacco è una festa...

E' festa quando finisce tutto. Quando gli attrezzi si posano, l'uva è messa a riposo e deve fare il suo lavoro lento.

Quando la vendemmia termina comincia la festa: e dopo tanta fatica la tavola deve essere "importante", il cibo forte e ristoratore.

Partecipare alla festa della vendemmia o anche, alle stesse fasi di raccolta dell'uva è davvero un'esperienza da compiere.

Si va indietro nel tempo quando tutto era più genuino ed il contatto con la terra pieno. Sull'isola un rito che si compie ad ogni fine estate, a metà settembre o inizio ottobre.

E quando viene san Martino, a novembre, scopriremo il risultato: si assaggia il vino nuovo.

Ed è ancora festa.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
Raccogliendo queste antiche tradizioni le Cantine Pietratoricia di Forio ogni anno aprono a tutti la festa del vino nuovo. Novembre sull'isola è sempre mite e stare insieme a brindare riscalda, se necessario ancora di più l'atmosfera.

Di seguito riportiamo un articolo che ben descrive la vendemmia isolana tratto dal sito www.foriocultura.it

L’uva viene ancora oggi raccolta a mano e trasportata a spalla in ceste o piccole cassette in modo da garantirne l’integrità; in alcune zone si utilizzano ancora muli e asini (questi ultimi fino all’Ottocento unico mezzo di trasporto), mentre nei vigneti più impervi e ripidi, come quello in località Frassitelli, situato alle falde del monte Epomeo a circa 500 metri sul livello del mare, sono state introdotte monorotaie.

I contenitori tradizionali per il trasporto dell’uva, tutti in legno di castagno, sono tini, cupelle e ‘u tavut, una cassa di forma rettangolare utilizzata per il trasporto a dorso del mulo. La vendemmia, soprattutto in passato, rappresentava un evento talmente importante da coinvolgere l’intera famiglia.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
La settimana precedente ci si dedicava ai preparativi che richiedevano molto lavoro e fatica e comprendevano la pulitura con acqua bollente del palmento, del torchio, dei tini, il lavaggio accurato delle grosse botti, in cui si entrava per sciacquarle più volte con acqua calda e strofinarle all’interno con una scopa dura di mortella.

Il giorno della vendemmia le operazioni da svolgere erano tante e richiedevano velocità e destrezza.

L’uva era talmente preziosa che ogni residuo delle diverse fasi di lavorazione veniva riciclato e riutilizzato.

La raccolta dell’uva iniziava di primo mattino.

grappoli venivano recisi dalla vite con coltelli ricurvi o con forbici e fatti cadere nei tini, recipienti di doghe di legno che erano poi trasportati fino alla cantina a spalla o, in caso di lunghe distanze, a dorso di muli.

L’uva da tavola destinata al consumo familiare era invece raccolta nei canestri o in contenitori di canna e vimini dette “cufanelle”. Fino a qualche decennio fa alle donne spettava il compito di raccogliere l’uva detta cuglienara, caratterizzata da acini grossi, dalla quale, una volta essiccata, si ricavava il vino “sorriso”.

L’uva raccolta nei tini veniva portata nella cantina e scaricata nel palmento, una grande vasca in lapillo battuto dove avveniva l’operazione della pigiatura, detta “a’ carcatura”: uno o più uomini entravano nel palmento a piedi nudi e, immersi nei grappoli d’uva fino all’anca, premevano i grappoli alzando le gambe con un movimento ritmico e veloce, che spesso accompagnavano intonando canti.

Questa procedura esisteva fin nell’antichità, come testimoniano tracce di palmenti magno-greci nell’isola.

Il mosto ricavato dalla prima pigiatura si riversava attraverso un foro del palmento in un’altra vasca più piccola, dove veniva raccolto in apposite tinozze di legno, ‘u t’niell’e, poste sotto ‘u doce, il monolite di pietra vulcanica forato al centro che collegava il palmento superiore con quello inferiore.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
Attraverso imbuti di legno il mosto dalle tinozze veniva riversato in grosse botti dove avveniva la fermentazione, mentre il liquido fuoriuscito e depositato sul fondo del palmento inferiore veniva recuperato con una paletta di legno con un’estremità rivestita di lamierino metallico, detta ‘a sassola. Per far scorrere liberamente il mosto verso ‘u doce le vinacce residuo della spremitura venivano ammassate lungo le pareti laterali del palmento.

L’operazione era chiamata ‘u munacielle (da munaccie = vinaccia).

La fase successiva era quella della torchiatura che, prima dell’avvento del torchio a vite, detto anche di Plinio (un esemplare tedesco del 1486 è esposto nel Museo Contadino di Casa D’Ambra), avveniva con il cosiddetto torchio di Catone, caratterizzato dall’uso della pietratorcia.

Questo sistema di torchiatura, risalente almeno al II sec. d.C., è stato utilizzato sull’isola fino a cinquant’anni fa.

La vinaccia veniva ammassata al centro del palmento superiore formando ‘u murillo, sul quale venivano poste tavole a più strati che reggevano un pezzo di legno utilizzato come alloggio per un lungo palo di castagno.

Ad un’estremità del palo erano legate due corde che reggevano un altro elemento ligneo, ‘u mul’nielle, al quale era legata con una fune ‘a preta torcia, un grosso e pesante masso di tufo verde dalla forma simile ad una campana.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
Con l’abbassamento graduale del palo si otteneva una torchiatura soffice della vinaccia che durava due o tre giorni. Il mosto ricavato dalla torchiatura veniva aggiunto a quello vergine. La botte veniva coperta con una foglia di fico. La fermentazione durava 30-40 giorni. I contadini conoscevano alcuni trucchi naturali per migliorare la qualità del vino prodotto. Ad esempio, quando la qualità dell’uva non era perfetta, si aggiungevano al mosto in fase di fermentazione basilico e petali di rose, in modo da aromatizzare il vino e mascherare il sapore e l’odore di muffa.

Per dare invece una colorazione più intensa al vino rosso venivano usati i frutti dell’uva di Spagna, detta in dialetto pegna strommele, una pianta tintoria di origine americana introdotta in Europa dagli Spagnoli e spontaneizzata sull’isola già dalla prima metà dell’Ottocento. La vinaccia rimasta nel torchio, ‘u trocchie, veniva distesa nel palmento e lasciata fermentare con l’aggiunta di acqua per circa tre giorni; da questa operazione si otteneva un vinello chiamato saccapann, utilizzato per il consumo giornaliero del contadino.

La fine della vendemmia si festeggiava con una grande tavolata all’aperto, dove si banchettava con pasta al sugo di coniglio, il vino vecchio spillato nei boccali di terracotta (detti arciulo e pizzepapere) e il tipico coniglio allacacciatora cucinato nel tegame di argilla, il tian’. I festeggiamenti talvolta proseguivano con danze e canti. Terminata la fermentazione, la botte veniva chiusa con un tappo di sughero ricoperto di sabbia e il vino era lasciato a decantare fino al mese di febbraio quando, con la luna crescente, il contadino eseguiva la “sfecciata”, ossia separava il vino dalla feccia e lo travasava.

20/12/15

Aspettando la vigilia di Natale

Uno dei piatti principe della tavola natalizia ischitana e napoletana è sicuramente il baccalà. Pietanza antichissima importata in Campania dalla Norvegia, il merluzzo che diventa “stoccafisso” e “baccalà” non può mancare a Natale. Lo troviamo nel menù della vigilia, ma anche come spuntino a mezzogiorno del 24 dicembre.

Aspettando la vigilia di Natale
In questa lunga giornata che prepara la grande abbuffata del Natale, il digiuno è d’obbligo. Ma è un digiuno un po’ speciale: è un “digiuno alla napoletana”, perché spizzicare è permesso e non solo a chi sta ai fornelli. Pizze di scarole e baccalà fritto aiutano a giungere a sera con un sano appetito, ma senza troppo soffrire!

Aspettando la vigilia di Natale
Nel comune di Ischia in genere sono vari i punti di ritrovo dove spizzicare cose buone in attesa della vigilia: alla riva sinistra, ad Ischia ponte, alla Mandra. E tutti gli altri comuni dell’isola di Ischia - CasamicciolaLacco AmenoBaranoForio e Serrara Fontana - la mattina del 24 dicembre danno appuntamento in piazza e per le stradine dei borghi con la sagra del baccalà.

Aspettando la vigilia di Natale
La storia dell’amore tra Napoli e il baccalà risale almeno al 1500. E ancora una volta, si vede come i napoletani siano un popolo capace di trovare soluzioni. A quel tempo, la Chiesa della controriforma imponeva di “mangiar magro”: aveva cioè proibito il consumo di carne nei giorni comandati.

08/12/15

La magia di Natale nella tradizione del presepe napoletano

Perdersi ammirando quel mondo magico ed antico, fatto di uomini in miniatura, dai vestiti sgargianti, dagli occhi lunghi e lo sguardo mediorientale, fatto di contadine abbronzate, e madonne ed angeli dalle guance di giglio, di venditori e acquaioli, di casette di cartapesta e giochi d’acqua, di muschio e di sughero. Ad Ischia, come a Napoli, dicembre si tinge di una religiosità intima e popolare. 


La magia di Natale nella tradizione del presepe napoletano
Qui il Natale parla la lingua feriale dei “pastori napoletani”, parla la lingua del presepe. E l’isola di Ischia con i suoi borghi di pescatori, i villaggi rurali, le casette basse e colorate, le cantine antiche, le strade che odorano di legna bruciata nei camini e le mille e mille lucine che si accendono di sera è essa stessa un grande, sorprendente presepe

Trascorrere le vacanze di Natale sull’isola di Ischia è sicuramente un modo per conoscere a fondo tradizioni e cultura mediterranee da una visuale inconsueta tra stradine e spiagge silenziose, chiese addobbate, feste in piazza dove gustare pesce fritto e vino novello, caldarroste e pizze di scarole.


La magia di Natale nella tradizione del presepe napoletano
E naturalmente non può mancare la visita ai presepi.

Gli appassionati di questa forma di artigianato avranno pane per i loro denti: ad Ischia un itinerario presepistico davvero interessante; e per approfondire il tema da Ischia in mezz’ora di aliscafo si raggiunge Napoli con le strade del presepe napoletano: i decumani, San Biagio e san Gregorio Armeno, ma anche il museo di San Martino che ha una delle più belle collezioni di presepi, tra cui spicca Il presepe Cuciniello.


La magia di Natale nella tradizione del presepe napoletano
Il 26 dicembre di ogni anno ad Ischia, nella frazione collinare di Campagnano, si tiene il presepe vivente, a cui partecipano decine e decine di figuranti, che sfilano per le stradine antiche.

In una antica cantina la Natività.

E in piazza gli antichi mestieri e la tavola delle delizie da mangiare.

Un'appuntamento natalizio da non perdere...

26/11/15

Dicembre ad Ischia, per un Natale più vero

Sarà per l'odore dolce delle caldarroste, sarà per i cento camini fumanti, per i dolci fatti in casa che impregnano l'aria, per i portoni antichi aperti su presepi incantevoli, o per la musica degli zampognari, ma dicembre sull'isola di Ischia è un percorso emozionante che ti fa respirare intensamente un'aria antica, quella del Natale di una volta. Un momento da vivere nell'intimità di una chiesa, nella festa di una piazza e alla tavola di una trattoria slow food, per assaporare la vera tradizione del Natale.

Dicembre ad Ischia, per un Natale più vero
Un po' di tramontana non guasta a dicembre per dare quel tocco vivo e pungente dell'aria natalizia. Chi ama immergersi nelle tradizioni e nelle atmosfere autentiche del Natale, troverà ad Ischia il luogo in assoluto più fedele a quel sentimento insieme festoso e spirituale che il Natale reca con sé. Questo perchè la vita in questa terra separata dal resto d'Italia dal mare è rimasta un più legata ai ritmi della natura: il giorno e la notte scandiscono il lavoro dei contadini, dei pescatori e degli artigiani che sono ancora tanti sull'isola. 

Dicembre ad Ischia, per un Natale più vero
Se le stagioni per chi vive in città sono soltanto intese come momenti di bel tempo o pioggia, per chi come avviene ad Ischia vive in stretto contatto con la terra e con il mare il cambiamento dei cicli stagionali deve essere seguito con attenzione, perchè il lavoro che si compie in campagna non può non tenerne conto. Fermatevi ad osservare il lavoro minuzioso dei coltivatori di vite, guardare come i loro gesti si ripetono secondo una cerimonia che fa parte del loro antico sapere. E' il tempo che li guida alla legatura delle viti, alla potatura, o alla raccolta dell'uva. Ecco perchè il rispetto assoluto del calendario si tramuta anche in un forte ancoraggio con le tradizioni, ed il Natale ad Ischia è più vero. 

Dicembre ad Ischia, per un Natale più vero
Nelle campagne è il momento di concimare la terra, zapparla e mettere, potare le viti, in mare è il giusto periodo per andare a pesca per portare prelibatezze freschissime sulla tavola della Vigilia. Il “cuoccio all'acqua pazza”, un dentice al forno, il capitone ed il baccalà fritto, e gli immancabili spaghetti ai frutti di mare. A Natale ogni piazza di Ischia è una gioia per gli occhi con i mercatini d'artigianato, piccoli spettacoli pomeridiani, e tante cose buone da gustare. Scegliete di trascorrere una vacanza di Natale sull'isola di Ischia. 

14/11/15

Torta Ischitana

Una sferzata di energia e di gusto in questa deliziosa torta a base di fichi mandorle.

Basterà assaggiarla per non poterne più fare a meno! Una ricetta ideata dal Bar Calise di Ischia Porto.

Ingredienti:

+ 250 g di farina di mandorle 
+ 250 g di burro
+ 250 g di zucchero 
+ 6 uova 
+ 50 g di pinoli tritati 
+ 50 g di noci tritate
+ 50 g di nocciole tritate
+ 25 g di mandorle tritate
+ la scorza di 1 arancia
+ la scorza di ½ limone

Torta Ischitana

per finire

+ 300 g di crema pasticciera
+ 400 g di fichi freschi

Preparazione:

Separate gli albumi dai tuorli e montateli a neve ben ferma. Montate lo zucchero con il burro fino a ottenere un composto spumoso; aggiungete le uova una alla volta e amalgamatele bene, poi, unite la farina di mandorle e tutti gli altri ingredienti evitando di smontare il composto. Per ultimi incorporate gli albumi. Dividete la torta a metà e farcitela con la metà della crema pasticciera. Chiudetela e copritela con la crema restante e con i fichi tagliati a rondelle.

Servite fredda.

05/10/15

La vendemmia sull'isola d'Ischia

grappoli che brillano al sole, l'odore forte della campagna, la frescura di un antico cellaio. Secoli di coltivazione della vite, secoli di fatica nei campi e di buon vino. Ed ogni momento legato a Bacco è una festa...

E' festa quando finisce tutto. Quando gli attrezzi si posano, l'uva è messa a riposo e deve fare il suo lavoro lento.

Quando la vendemmia termina comincia la festa: e dopo tanta fatica la tavola deve essere "importante", il cibo forte e ristoratore.

Partecipare alla festa della vendemmia o anche, alle stesse fasi di raccolta dell'uva è davvero un'esperienza da compiere.

Si va indietro nel tempo quando tutto era più genuino ed il contatto con la terra pieno. Sull'isola un rito che si compie ad ogni fine estate, a metà settembre o inizio ottobre.

E quando viene san Martino, a novembre, scopriremo il risultato: si assaggia il vino nuovo.

Ed è ancora festa.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
Raccogliendo queste antiche tradizioni le Cantine Pietratoricia di Forio ogni anno aprono a tutti la festa del vino nuovo. Novembre sull'isola è sempre mite e stare insieme a brindare riscalda, se necessario ancora di più l'atmosfera.

Di seguito riportiamo un articolo che ben descrive la vendemmia isolana tratto dal sito www.foriocultura.it

L’uva viene ancora oggi raccolta a mano e trasportata a spalla in ceste o piccole cassette in modo da garantirne l’integrità; in alcune zone si utilizzano ancora muli e asini (questi ultimi fino all’Ottocento unico mezzo di trasporto), mentre nei vigneti più impervi e ripidi, come quello in località Frassitelli, situato alle falde del monte Epomeo a circa 500 metri sul livello del mare, sono state introdotte monorotaie.

I contenitori tradizionali per il trasporto dell’uva, tutti in legno di castagno, sono tini, cupelle e ‘u tavut, una cassa di forma rettangolare utilizzata per il trasporto a dorso del mulo. La vendemmia, soprattutto in passato, rappresentava un evento talmente importante da coinvolgere l’intera famiglia.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
La settimana precedente ci si dedicava ai preparativi che richiedevano molto lavoro e fatica e comprendevano la pulitura con acqua bollente del palmento, del torchio, dei tini, il lavaggio accurato delle grosse botti, in cui si entrava per sciacquarle più volte con acqua calda e strofinarle all’interno con una scopa dura di mortella.

Il giorno della vendemmia le operazioni da svolgere erano tante e richiedevano velocità e destrezza.

L’uva era talmente preziosa che ogni residuo delle diverse fasi di lavorazione veniva riciclato e riutilizzato.

La raccolta dell’uva iniziava di primo mattino.

grappoli venivano recisi dalla vite con coltelli ricurvi o con forbici e fatti cadere nei tini, recipienti di doghe di legno che erano poi trasportati fino alla cantina a spalla o, in caso di lunghe distanze, a dorso di muli.

L’uva da tavola destinata al consumo familiare era invece raccolta nei canestri o in contenitori di canna e vimini dette “cufanelle”. Fino a qualche decennio fa alle donne spettava il compito di raccogliere l’uva detta cuglienara, caratterizzata da acini grossi, dalla quale, una volta essiccata, si ricavava il vino “sorriso”.

L’uva raccolta nei tini veniva portata nella cantina e scaricata nel palmento, una grande vasca in lapillo battuto dove avveniva l’operazione della pigiatura, detta “a’ carcatura”: uno o più uomini entravano nel palmento a piedi nudi e, immersi nei grappoli d’uva fino all’anca, premevano i grappoli alzando le gambe con un movimento ritmico e veloce, che spesso accompagnavano intonando canti.

Questa procedura esisteva fin nell’antichità, come testimoniano tracce di palmenti magno-greci nell’isola.

Il mosto ricavato dalla prima pigiatura si riversava attraverso un foro del palmento in un’altra vasca più piccola, dove veniva raccolto in apposite tinozze di legno, ‘u t’niell’e, poste sotto ‘u doce, il monolite di pietra vulcanica forato al centro che collegava il palmento superiore con quello inferiore.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
Attraverso imbuti di legno il mosto dalle tinozze veniva riversato in grosse botti dove avveniva la fermentazione, mentre il liquido fuoriuscito e depositato sul fondo del palmento inferiore veniva recuperato con una paletta di legno con un’estremità rivestita di lamierino metallico, detta ‘a sassola. Per far scorrere liberamente il mosto verso ‘u doce le vinacce residuo della spremitura venivano ammassate lungo le pareti laterali del palmento.

L’operazione era chiamata ‘u munacielle (da munaccie = vinaccia).

La fase successiva era quella della torchiatura che, prima dell’avvento del torchio a vite, detto anche di Plinio (un esemplare tedesco del 1486 è esposto nel Museo Contadino di Casa D’Ambra), avveniva con il cosiddetto torchio di Catone, caratterizzato dall’uso della pietratorcia.

Questo sistema di torchiatura, risalente almeno al II sec. d.C., è stato utilizzato sull’isola fino a cinquant’anni fa.

La vinaccia veniva ammassata al centro del palmento superiore formando ‘u murillo, sul quale venivano poste tavole a più strati che reggevano un pezzo di legno utilizzato come alloggio per un lungo palo di castagno.

Ad un’estremità del palo erano legate due corde che reggevano un altro elemento ligneo, ‘u mul’nielle, al quale era legata con una fune ‘a preta torcia, un grosso e pesante masso di tufo verde dalla forma simile ad una campana.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
Con l’abbassamento graduale del palo si otteneva una torchiatura soffice della vinaccia che durava due o tre giorni. Il mosto ricavato dalla torchiatura veniva aggiunto a quello vergine. La botte veniva coperta con una foglia di fico. La fermentazione durava 30-40 giorni. I contadini conoscevano alcuni trucchi naturali per migliorare la qualità del vino prodotto. Ad esempio, quando la qualità dell’uva non era perfetta, si aggiungevano al mosto in fase di fermentazione basilico e petali di rose, in modo da aromatizzare il vino e mascherare il sapore e l’odore di muffa.

Per dare invece una colorazione più intensa al vino rosso venivano usati i frutti dell’uva di Spagna, detta in dialetto pegna strommele, una pianta tintoria di origine americana introdotta in Europa dagli Spagnoli e spontaneizzata sull’isola già dalla prima metà dell’Ottocento. La vinaccia rimasta nel torchio, ‘u trocchie, veniva distesa nel palmento e lasciata fermentare con l’aggiunta di acqua per circa tre giorni; da questa operazione si otteneva un vinello chiamato saccapann, utilizzato per il consumo giornaliero del contadino.

La fine della vendemmia si festeggiava con una grande tavolata all’aperto, dove si banchettava con pasta al sugo di coniglio, il vino vecchio spillato nei boccali di terracotta (detti arciulo e pizzepapere) e il tipico coniglio allacacciatora cucinato nel tegame di argilla, il tian’. I festeggiamenti talvolta proseguivano con danze e canti. Terminata la fermentazione, la botte veniva chiusa con un tappo di sughero ricoperto di sabbia e il vino era lasciato a decantare fino al mese di febbraio quando, con la luna crescente, il contadino eseguiva la “sfecciata”, ossia separava il vino dalla feccia e lo travasava.

04/04/15

Le torte salate di Pasqua: il Casatiello

Da una tradizione antichissima nasce uno dei piatti più mediterranei della Pasqua ischitana, il Casatiello. Torta salata dal carattere forte e robusto questa pietanza viene preparata qualche giorno prima della Pasqua nelle case ischitane, seguendo un’antica ricetta napoletana. Ma attenzione perché quello che sembra una semplice torta rustica è in realtà, come spesso le antiche ricette legate alle tradizioni religiose, intrisa di significati simbolici che alludono alla resurrezione di Cristo, e questi segni sono gli stessi ingredienti le uova ed il formaggio, e la forma del Casatiello che ripete grossolanamente la corona di spine del Cristo

Nella tassonomia culinaria, il casatiello appartiene alla famiglia delle torte pasquali salate.

Tortano e casatiello hanno lo stesso impasto: farina, lievito, acqua, sale, pepe, sugna (in italiano strutto), uova sode, salame, formaggio e ciccoli (ciccioli) di maiale

Le varianti sono numerose: regionali, locali, e familiari. C’è chi, invece del (o insieme al) salame nell’impasto ci mette mortadella a dadini, o prosciutto cotto.

Quanto ai formaggi, fondamentale è il pecorino romano, in dosi generose. Ad esso si aggiunge spesso una piccola percentuale di parmigiano, e c’è chi si spinge fino al provolone semipiccante, e/o all’emmental.

Le torte salate di Pasqua: il Casatiello
Per un piatto così legato alla Pasqua, e dunque alla tradizione cristiana, fa un certo effetto rendersi conto che i suoi ingredienti rispondono ad una simbologia pagana, molto precedente a Cristo: a cominciare dal già evocato pecorino.

Il formaggio pecorino si fa con il latte di pecora.

Di cui si nutre il piccolo della pecora: l’agnello.

Orbene, nei riti pagani collegati alla resurrezione primaverile della natura dopo la “morte” invernale venivano sacrificati degli agnelli.

Con la a maiuscola, l’Agnello è il simbolo dell’innocenza: della creatura pura e candida. Per questo gli Ebrei lo offrivano in sacrificio durante la Pasqua.

E chi – nella visione cristiana – è più innocente di Cristo, l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo?

In tutto l’Occidente, l’agnello pasquale che trionfa e sorregge la bandiera della vittoria sulla morte rappresenta la Resurrezione, tanto da essere impiegato come amuleto dopo essere stato modellato con cera benedetta.

E’ chiaro dunque perché è il pecorino, il formaggio che si deve mettere nel casatiello e nel tortano? Se non ce lo mettete, cambia tutto il senso del casatiello (e pure il sapore, che a parte ogni discorso, col pecorino è tutta un’altra cosa…)

Altro ingrediente, altra storia: i ciccioli, o cicoli, come dicono i napoletani.

I ciccioli sono i residui della lavorazione (fusione) del grasso del maiale: lo strutto, “’a nzogna” dei partenopei. I ciccioli si presentano come pezzetti irregolari di carne, di color nocciola, molto ricchi di grasso, e quindi saporitissimi.

Rimandano anch’essi a un rito antichissimo, antecedente all’era cristiana: l’uccisione sacrificale del maiale, simbolo di fecondità e di benessere. E il benessere effettivamente lo portava nelle case, il maiale, con tutto il ben di Dio che metteva sulle tavole dei contadini.

La gratitudine non è uno dei sentimenti umani più frequentati, e il maiale lo sa: lui sfama l’uomo, e l’uomo lo infama. Facevano così anche i cristiani, per i quali il porco era il simbolo dell’ingordigia e dell’ignoranza: ma curiosamente, in epoche precedenti, il maiale era collegato alla rinascita.

Il tortano e il casatiello si fanno con la farina. Come il pane: il Cibo per eccellenza, che resta tale quando, oltre che entrare nella bocca, ne esce diventando linguaggio: “nell’espressione “guadagnarsi il pane”, quest’ultimo simboleggia qualsiasi forma di sostentamento e di alimento. Prima di diventare il Simbolo del Re dei Re, cioè di Cristo nell’ostia consacrata, il Pane era - ed è - il Re dei Cibi.

Poi ci sono le uova.

L’Uovo è il simbolo del seme primordiale dal quale in seguito nasce il mondo.

Le torte salate di Pasqua: il Casatiello
Come totalità racchiusa in un guscio, indica la Creazione già prefigurata fin dall’inizio. I cristiani paragonavano Gesù, che risorge dal sepolcro, al pulcino, che esce dal suo guscio.

E quando risorge Gesù? A Pasqua!

Ecco spiegato il significato dell’uovo di Pasqua, presente in moltissime culture.

Perciò, nel periodo di Pasqua uova come se piovesse (ma meglio di no, specialmente a Pasquetta, c’è la gita fuori porta). Ci sono le uova decorate, le uova di cioccolato, e le uova messe dentro i dolci e le torte: a Napoli, nella pastiera e nella colomba, ma pure -e qui il cerchio si chiude- nel casatiello e nel tortano.

Oltre alla sostanza (piuttosto sostanziosa, a quanto pare), tortano e casatiello hanno in comune la forma. A ciambella, vuota al centro.

Questa forma ha un significato ben preciso (perché ormai è chiaro: in questi cibi dei giorni di festa niente è lasciato al caso, e figuriamoci al casatiello): la ciambella ha la forma della corona di spine di Gesù Cristo.

E’ così che, mangiandola, ci si ricorda, senza averne consapevolezza, ma a livello profondo, del calvario del Salvatore: e si lenisce la (sua e nostra) sofferenza “distruggendo”, col mangiarla, una delle sue cause: la terribile corona di spine, appunto. Ma benché uguali per contenuto (l’impasto è sostanzialmente il medesimo), e per forma (a ciambella), tortano e casatiello non sono sinonimi.

No. Il casatiello ha qualcosa in più rispetto al tortano.

Oltre ad avere le uova sode dentro l’impasto, ce le ha pure fuori: quattro o più, complete di guscio, incastonate nella ciambella. Ma non completamente affondate in essa, in modo che la loro parte superiore rimanga visibile. Il tortano (in cui le uova sode, tagliate a spicchi, si trovano solo nell’impasto) è in realtà più antico del casatiello. Che ne rappresenta un’evoluzione.

Un bel giorno dev’essere accaduto che uno di quei fornai che preparavano i tortani, per renderli più appetitosi, abbia provato a incastrarvi dentro delle uova crude, e intere.


Le torte salate di Pasqua: il Casatiello
Una volta tolto dal forno questa specie di supertortano (forse una volta sola non bastò, e ci vollero più tentativi), si accorse che le uova, al di sotto del guscio, erano diventate sode. E avevano preso un particolarissimo sapore, a causa dell’impasto in cui si trovavano immerse. Era nato così il casatiello, che incontrò subito molta fortuna.

Perché soddisfa il palato, e l’occhio.

E pure la sensibilità religiosa: al di sopra di ciascun uovo inserito nella ciambella venivano infatti sistemate due striscioline di pasta perpendicolari tra loro. A scopo puramente ornamentale? Ovviamente no: le due strisce ortogonali di pasta non sono altro che la rappresentazione della Croce. Lasciando da parte i simboli, il casatiello è davvero bello a vedersi: un alto ciambellone dorato, dalle cui pareti ambrate emergono a tratti i cicoli, e sulla cui superficie occhieggiano le uova sode ancora serrate nella corazza del guscio.

L’operazione di sgusciamento delle uova incastonate è delicata: occorre infatti separare con cautela i frammenti del guscio dal soffocante abbraccio della pasta, che a cottura ultimata vi aderisce fortemente.

Nato come gustosa variante del tortano, il casatiello ha un pò per volta perso terreno: per praticità e rapidità, le massaie hanno preferito limitarsi alla preparazione del tortano, che già da sola non è uno scherzo. Ma il tempo è sempre galantuomo, anche quando non c’è. E’ stata proprio la sua mancanza a far tornare in auge il casatiello.

E’ accaduto perché oggi ormai nelle case non c’è il tempo neppure per fare il tortano. A questo punto, chi lo vuole deve andarselo a comprare.

Venendo in vacanza a Pasqua ad Ischia assaggiate questa famosa torta salata, la potete trovare nei ristoranti attenti a conservare la tradizione della tavola ischitana e partenopea ma anche in qualche panificio – pasticceria dell’isola di Ischia.

05/10/14

La vendemmia sull'isola d'Ischia

grappoli che brillano al sole, l'odore forte della campagna, la frescura di un antico cellaio. Secoli di coltivazione della vite, secoli di fatica nei campi e di buon vino. Ed ogni momento legato a Bacco è una festa...

E' festa quando finisce tutto. Quando gli attrezzi si posano, l'uva è messa a riposo e deve fare il suo lavoro lento.

Quando la vendemmia termina comincia la festa: e dopo tanta fatica la tavola deve essere "importante", il cibo forte e ristoratore.

Partecipare alla festa della vendemmia o anche, alle stesse fasi di raccolta dell'uva è davvero un'esperienza da compiere.

Si va indietro nel tempo quando tutto era più genuino ed il contatto con la terra pieno. Sull'isola un rito che si compie ad ogni fine estate, a metà settembre o inizio ottobre.

E quando viene san Martino, a novembre, scopriremo il risultato: si assaggia il vino nuovo.

Ed è ancora festa.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
Raccogliendo queste antiche tradizioni le Cantine Pietratoricia di Forio ogni anno aprono a tutti la festa del vino nuovo. Novembre sull'isola è sempre mite e stare insieme a brindare riscalda, se necessario ancora di più l'atmosfera.

Di seguito riportiamo un articolo che ben descrive la vendemmia isolana tratto dal sito www.foriocultura.it

L’uva viene ancora oggi raccolta a mano e trasportata a spalla in ceste o piccole cassette in modo da garantirne l’integrità; in alcune zone si utilizzano ancora muli e asini (questi ultimi fino all’Ottocento unico mezzo di trasporto), mentre nei vigneti più impervi e ripidi, come quello in località Frassitelli, situato alle falde del monte Epomeo a circa 500 metri sul livello del mare, sono state introdotte monorotaie.

I contenitori tradizionali per il trasporto dell’uva, tutti in legno di castagno, sono tini, cupelle e ‘u tavut, una cassa di forma rettangolare utilizzata per il trasporto a dorso del mulo. La vendemmia, soprattutto in passato, rappresentava un evento talmente importante da coinvolgere l’intera famiglia.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
La settimana precedente ci si dedicava ai preparativi che richiedevano molto lavoro e fatica e comprendevano la pulitura con acqua bollente del palmento, del torchio, dei tini, il lavaggio accurato delle grosse botti, in cui si entrava per sciacquarle più volte con acqua calda e strofinarle all’interno con una scopa dura di mortella.

Il giorno della vendemmia le operazioni da svolgere erano tante e richiedevano velocità e destrezza.

L’uva era talmente preziosa che ogni residuo delle diverse fasi di lavorazione veniva riciclato e riutilizzato.

La raccolta dell’uva iniziava di primo mattino.

grappoli venivano recisi dalla vite con coltelli ricurvi o con forbici e fatti cadere nei tini, recipienti di doghe di legno che erano poi trasportati fino alla cantina a spalla o, in caso di lunghe distanze, a dorso di muli.

L’uva da tavola destinata al consumo familiare era invece raccolta nei canestri o in contenitori di canna e vimini dette “cufanelle”. Fino a qualche decennio fa alle donne spettava il compito di raccogliere l’uva detta cuglienara, caratterizzata da acini grossi, dalla quale, una volta essiccata, si ricavava il vino “sorriso”.

L’uva raccolta nei tini veniva portata nella cantina e scaricata nel palmento, una grande vasca in lapillo battuto dove avveniva l’operazione della pigiatura, detta “a’ carcatura”: uno o più uomini entravano nel palmento a piedi nudi e, immersi nei grappoli d’uva fino all’anca, premevano i grappoli alzando le gambe con un movimento ritmico e veloce, che spesso accompagnavano intonando canti.

Questa procedura esisteva fin nell’antichità, come testimoniano tracce di palmenti magno-greci nell’isola.

Il mosto ricavato dalla prima pigiatura si riversava attraverso un foro del palmento in un’altra vasca più piccola, dove veniva raccolto in apposite tinozze di legno, ‘u t’niell’e, poste sotto ‘u doce, il monolite di pietra vulcanica forato al centro che collegava il palmento superiore con quello inferiore.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
Attraverso imbuti di legno il mosto dalle tinozze veniva riversato in grosse botti dove avveniva la fermentazione, mentre il liquido fuoriuscito e depositato sul fondo del palmento inferiore veniva recuperato con una paletta di legno con un’estremità rivestita di lamierino metallico, detta ‘a sassola. Per far scorrere liberamente il mosto verso ‘u doce le vinacce residuo della spremitura venivano ammassate lungo le pareti laterali del palmento.

L’operazione era chiamata ‘u munacielle (da munaccie = vinaccia).

La fase successiva era quella della torchiatura che, prima dell’avvento del torchio a vite, detto anche di Plinio (un esemplare tedesco del 1486 è esposto nel Museo Contadino di Casa D’Ambra), avveniva con il cosiddetto torchio di Catone, caratterizzato dall’uso della pietratorcia.

Questo sistema di torchiatura, risalente almeno al II sec. d.C., è stato utilizzato sull’isola fino a cinquant’anni fa.

La vinaccia veniva ammassata al centro del palmento superiore formando ‘u murillo, sul quale venivano poste tavole a più strati che reggevano un pezzo di legno utilizzato come alloggio per un lungo palo di castagno.

Ad un’estremità del palo erano legate due corde che reggevano un altro elemento ligneo, ‘u mul’nielle, al quale era legata con una fune ‘a preta torcia, un grosso e pesante masso di tufo verde dalla forma simile ad una campana.

La vendemmia sull'isola d'Ischia
Con l’abbassamento graduale del palo si otteneva una torchiatura soffice della vinaccia che durava due o tre giorni. Il mosto ricavato dalla torchiatura veniva aggiunto a quello vergine. La botte veniva coperta con una foglia di fico. La fermentazione durava 30-40 giorni. I contadini conoscevano alcuni trucchi naturali per migliorare la qualità del vino prodotto. Ad esempio, quando la qualità dell’uva non era perfetta, si aggiungevano al mosto in fase di fermentazione basilico e petali di rose, in modo da aromatizzare il vino e mascherare il sapore e l’odore di muffa.

Per dare invece una colorazione più intensa al vino rosso venivano usati i frutti dell’uva di Spagna, detta in dialetto pegna strommele, una pianta tintoria di origine americana introdotta in Europa dagli Spagnoli e spontaneizzata sull’isola già dalla prima metà dell’Ottocento. La vinaccia rimasta nel torchio, ‘u trocchie, veniva distesa nel palmento e lasciata fermentare con l’aggiunta di acqua per circa tre giorni; da questa operazione si otteneva un vinello chiamato saccapann, utilizzato per il consumo giornaliero del contadino.

La fine della vendemmia si festeggiava con una grande tavolata all’aperto, dove si banchettava con pasta al sugo di coniglio, il vino vecchio spillato nei boccali di terracotta (detti arciulo e pizzepapere) e il tipico coniglio allacacciatora cucinato nel tegame di argilla, il tian’. I festeggiamenti talvolta proseguivano con danze e canti. Terminata la fermentazione, la botte veniva chiusa con un tappo di sughero ricoperto di sabbia e il vino era lasciato a decantare fino al mese di febbraio quando, con la luna crescente, il contadino eseguiva la “sfecciata”, ossia separava il vino dalla feccia e lo travasava.